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Apertura 2023
dal 15 giugno al 8 ottobre

Storia e leggenda del rifugio e del Gruppo del Catinaccio

Le radici del Rifugio Re Alberto 1° risalgono agli inizi del 20° secolo, quando Tita Piaz, alpinista e guida alpina famosa, acquistò e ristrutturò l’alloggio provvisorio di allora

“Catinaccio” nasce dalla parola ladina “ciadinàc”, che significa conca di montagna, detriti. Ancora oggi i ladini, soprattutto i valligiani di Fassa, chiamano la “loro” montagna così!

La sua storia alpinistica e quella dei suoi rifugi, risale agli albori di questa nuova maniera di vivere la montagna e precisamente nel 1874, con la prima ascensione alla vetta prestigiosa compiuta dagli inglesi salendo dalla Val di Fassa; nel 1878 il sudtirolese Johann Santner scoprì l’acceso al “Gartl” lungo la gola ora percorsa dalla ferrata che ha preso il suo nome.
Nell’estate del 1900 la sezione Rheinland del Deutscher und Österreichischer Alpenverein eresse ai piedi delle rocce la Kölnerhütte sul versante ovest e la Vajolethütte sul versante est.
Nel 1910 si cominciò così ad attrezzare con pioli di ferro e funi metalliche la gola del passo Santner per facilitare l’accesso alla conca del Vajolet, ove il fassano Marino Pederiva eresse nel 1929 una capanna in legno. La celebre guida alpina di Pera di Fassa, Tita Piaz, acquistò poi quel primo ricovero, e nel 1933 costruì la Gartlhütte o rifugio re Alberto 1° in omaggio al celebre re belga che compiva le sue scalate dolomitiche al fianco del “diavolo delle Dolomiti”.
Il rifugio venne poi ampliato in seguito un paio di volte a formare il rifugio attuale.

Tita Piaz: il “diavolo delle Dolomiti”

Il 13 ottobre 1879 nasce a Pera di Fassa Tita Piaz, in una casetta situata proprio all’imbocco della Valle del Vajolet. Per tutta la sua giovinezza, Piaz vede emergere intorno a sé personalità intrepide che con le loro imprese fecero compiere enormi passi in avanti all’alpinismo dolomitico.
Fra questi il gesto più ardito fu compiuto da Georg Winkler che nel 1887 salì per primo la “più piccola” delle torri del Vajolet.
L’alpinismo fassano arriva a livelli di prestigio con guide alpine come Luigi Bernard, Luigi Rizzi e proprio con Tita Piaz che sale a sua volta sulla torre Winkler, riservata fino a quel momento solo alle guide più famose. Tita vi sale una prima volta con un contadino di Monzon e poi con una contadina di Pera sotto gli occhi di numerosi "Perrucchi" e "Pozzacchi", come Tita scherzosamente chiamava gli abitanti di Pera e Pozza di Fassa.
Tutta la sua vita alpinistica ruoterà intorno a questa torre e ad un’altra impresa compiuta dal ventenne Tita nel 1900: sale in solitaria la fessura nord-est della Punta Emma,  così chiamata dal nome della cameriera del Rifugio Vajolet che Piaz volle portare con sé.
Preuss definì questa scalata “...un’ impresa unica nel suo genere in relazione ai tempi...” e con Dulfer vollero ripeterla due volte ciascuno, tanto ne erano entusiasti!
Piaz aprì un cinquantina di vie nuove. All’inizio della sua attività alpinistica, nel 1899, sale otto  cime in sette ore di cui due nuove; partendo dalla est del Catinaccio, termina sulla torre Delago ed espone le sue sbrindellate scarpette nella sala del rifugio Vajolet, forse pensando ad un futuro museo alpinistico. Il concatenamento che anticipa di gran lunga i tempi e gli alpinisti attuali almeno nella concezione, avviene quando sale il Campanile Basso al mattino e la Winkler al pomeriggio con un trasferimento rapido in motocicletta.
A lui sono inoltre da ricondurre la “scalata più difficile delle Alpi” al Campanile Toro nel 1906, la “scalata più celebrata” alla torre ovest del Totenkirchl nel 1908, l’”arrampicata più pericolosa” allo spigolo nord-est dello Schenon nel 1926. Di qui il soprannome di “diavolo delle dolomiti”!
In particolare, fece scalpore e sollevò critiche, la scalata della "Guglia De Amicis" (così battezzata da Piaz, in onore dello scrittore italiano Edmondo De Amicis). Infatti, lanciando una corda dall'antistante Campanile di Misurina, arrivò sulla guglia superando, a sessanta metri di altezza, i diciotto metri che separano le due guglie.
Nel 1932, assieme a Virginio Dezulian aprì sul pilastro sud del Sass Pordoi la “via Maria”, un quarto grado ancora oggi frequentato da alpinisti di tutto il mondo.
Le imprese di Tita Piaz rientrano in un alpinismo moderno, consapevole, che sa farsi da padrone delle montagne che gli appartengono e che sono la terra natia nel quale si trovano tutti gli amori e le passioni.
Dopo una vita trascorsa a scalare le vette più difficili e pericolose, con ascensioni anche notturne, Tita Piaz muore il 6 agosto 1948 in un incidente di bicicletta a pochi metri da casa sua.

La leggenda di Re Laurino

Una delle più suggestive leggende delle Dolomiti, spiega perchè queste montagne, al tramonto si tingono di rosa.
Secondo questa leggenda, nel “catino” del Catinaccio, si trovava il “giardino di rose di Re Laurino”. Ecco perchè in tedesco il Catinaccio si chiama Rosengarten, cioè Giardino delle Rose.
Re Laurino regnava su un popolo di nani che scavava nelle viscere della montagna alla ricerca di cristalli, argento ed oro e possedeva altresì due armi magiche: una cintura che gli forniva una forza pari a quella di dodici uomini ed una cappa che lo rendeva invisibile.
Un giorno il re dell'Adige decise di maritare la bellissima figlia Similde e per questo motivo invitò tutti i nobili del circondario ad una gita di maggio, tutti tranne Re Laurino. Questi decise allora di partecipare comunque, ma come ospite invisibile.
Quando sul campo del torneo cavalleresco ebbe modo di vedere Similde, colpito dalla sua stupenda figura, se ne innamorò all'istante, la caricò in groppa al suo cavallo e fuggì a spron battuto. I combattenti si lanciarono subito all'inseguimento per riportare indietro Similde, schierandosi in breve davanti al Giardino delle Rose. Re Laurino allora indossò la cintura, che gli dava la forza di dodici uomini e si gettò nella lotta. Quando si rese conto che nonostante tutto stava per soccombere, indossò la cappa e si mise a saltellare qua e là nel giardino, convinto di non essere visto. Ma i cavalieri riuscirono ad individuarlo osservando il movimento delle rose sotto le quali Laurino cercava di nascondersi. Lo afferrarono, tagliarono la cintura magica e lo imprigionarono.
Laurino irritato per il destino avverso, si girò verso il Rosengarten, che lo aveva tradito e gli lanciò una maledizione: né di giorno, né di notte alcun occhio umano avrebbe potuto più ammirarlo. Laurino però dimenticò il tramonto e così da allora accade che il Catinaccio, sia al tramonto sia all'alba, si colori come un giardino di ineguagliabile bellezza.